L’antropologia fisica e quella culturale sono d’accordo nel ritenere la nascita del linguaggio verbale nell’Homo come la grande novità dell’evoluzione della specie, grazie alla quale abbiamo sviluppato tutte quelle facoltà superiori che ci identificano nel regno animale. Se il linguaggio fosse effettivamente in grado di esprimere tutti i contenuti reconditi del nostro pensare, non avremmo necessità di linguaggi analogici, come quelli della musica, della danza, della pittura e della scultura. Noi narriamo le cose del mondo e nel farlo creiamo la realtà. Essa contiene, nel suo metodo di studio, nella sua espressione e condivisione compartecipate, ulteriori chiavi di lettura del comportamento umano. Ad esempio, essa indubbiamente svolge un ruolo fondamentale nel processo di formazione dell’identità personale e culturale. Si ripete, a livello culturale, il passaggio dal piccolo al grande, dal particolare al generale. È il primo mistero più antico della vita, la vita stessa.

A che cosa serve la musica e che cosa è?

Una domanda tanto antica quanto forse la musica stessa. La musica è una attività umana di creazione di significati. Nel corso della storia della musica occidentale si sono date molte e diverse risposte circa questa importante domanda. Musica e linguaggio nascono e si sviluppano dalle stesse basi corticali, quelle deputate alla percezione, alla comprensione e alla produzione dei suoni e quelle della motilità fine degli arti. Ad un primo stadio di elaborazione cognitiva emergono nel cervello gli obiettivi verso cui indirizzare le azioni, per giungere alla all’acquisizione di un apprendimento che modifica topologicamente le configurazioni delle reti neuronali del cervello. Ogni essere umano si rende conto dei propri significati per mezzo di consapevolezza e coscienza. Ogni apprendimento, frutto della relazione con l’ambiente esterno, modifica questa situazione, sotto forma di nuova consapevolezza, creando una naturale propensione per il verosimilmente giusto e migliore, utile tanto al singolo quanto al gruppo, che possiamo definire apprendimento etico globale.
L’azione creativa del suono, anche in riferimento al linguaggio verbale e prima ancora che diventi musica, è ampiamente espressa in molti miti della storia dell’umanità. Provate a pensare a qualsiasi cosa da esprimere senza fare uso della parola, del disegno, della danza, della scultura, del movimento del corpo, dei segnali non verbali, del suono, dei numeri. Riuscite a pensare a qualche cosa? No, perché è impossibile per l’umanità intera. Senza codice non esiste pensiero. L’idea di un codice è una prerogativa antropologica, senza della quale non esisterebbe nessuna scienza umana. La creazione del simbolo è alla base del rapporto umano con l’ambiente e la società, e la consapevolezza delle immagini mentali che esso evoca, è il primo elemento di distinzione lungo la scala evolutiva della specie. Diventare consapevoli di questo processo è alla base di ciò che comunemente viene definito autocontrollo, a sua volta legato alla coscienza di sé.
Sostenere dunque che la musica sia una umana creazione di significati implica l’assunzione di una prospettiva antropologica diversa da quella corrente, secondo la quale la musica comunica oppure riflette l’esistente culturale. La musica non è solo riflessione, perché ogni disciplina umana è una specie di riflessione sull’oggetto della propria ricerca. È infatti tipico della musica permettere ed agevolare atteggiamenti umani di contemplazione-ammirazione, riflessione e comunicazione. Possiamo dire che la musica non solo riflette e comunica (solamente), ma inventa in sé nuovi significati, anche rivoluzionari, oppure conserva, in modi diversi e fortemente, i precedenti significati (come nel caso della musica classica), ma stimola la formazione di atteggiamenti cognitivi sull’azione stessa del riflettere e della comunicazione. La musica è cioè in grado di predisporre atteggiamenti mentali che portano alle successive riflessioni, alle meditazioni e comunicazioni. Quando non ci resta che il silenzio, dopo tanto parlare, facciamo appello al suono del silenzio stesso, oppure facciamo musica. In tutti e due i casi, sia facendo silenzio che facendo musica, si dà voce senza parole alla propria riflessione, contemplazione e consenso. Proprio in questa capacità risiede l’alto valore dell’arte per l’essere umano e della musica nella fattispecie: nel dare voce all’inesprimibile a parole.
Una qualsiasi emozione, quando si inserisce nel sentimento, entra nel tempo delle azioni individuali ed è tenuta sotto controllo attraverso i codici che la possono esprimere.

Questo sentimento è decisamente alla base di futuri atteggiamenti etici, come quelli legati al concepire il proprio benessere in relazione a quello altrui. Essa diventa il suo modus operandi, conferendo alla musica stessa il suo plusvalore cognitivo. Catturare per sé l’emozione del compositore trascritta in musica, significa attribuire ad essa un nuovo senso emozionale e cognitivo assieme, perché contaminato proprio dalla presenza del fruitore. Su queste tematiche sarà possibile lavorare utilizzando la musica, facendo riferimento ai diversi stili musicali, alle diverse epoche della storia della musica, proprio perché saremo immersi in una officina musicale, dove ciascun allievo sarà in grado di maneggiare strumenti stilistici differenti, oppure di ri-creare concetti ed emozioni eticamente condivisibili.
Senza fiducia non si crea relazione, né si trasferisce alle nuove generazioni, come ai propri pari, alcunché. La fiducia è il sentimento base per la creazione di qualsiasi atteggiamento etico. In effetti, ogni individuo, in qualsiasi momento della propria vita, è indotto a compiere scelte, ossia è portato dalle circostanze esterne ed interne ad orientarsi verso percorsi del proprio cammino, che veicolano se stesso in relazione agli altri. In questa reciproca veicolazione di senso risiede il valore etico della musica, proprio perché empatogena.